Il caso che analizzeremo riguarda un licenziamento per giusta causa.
Con il termine giusta causa si intende una trasgressione o una inadempienza da parte del lavoratore, tale da compromettere il rapporto di fiducia instauratosi con il suo datore.
Al fine di valutare la legittimità del licenziamento occorre stabilire se vi sia proporzionalità tra la sanzione espulsiva ed il comportamento irrispettoso tenuto dal dipendente.
Quindi, in tema di esercizio del potere disciplinare attribuito al datore di lavoro, ha da sempre rivestito una posizione centrale il principio, già contenuto nell’art. 2106 cod. civ., di proporzionalità o adeguatezza della sanzione irrogata rispetto alla gravità del fatto addebitato al lavoratore. L’applicazione del suddetto principio, che presuppone l’esercizio di un potere largamente discrezionale da parte del datore di lavoro, occupa infatti un posto centrale nel procedimento valutativo del giudice chiamato a stabilire in quali casi sia giustificata l’adozione della massima sanzione disciplinare in luogo di una delle sanzioni conservative astrattamente disponibili.
Devi sapere che tra le varie sanzioni disciplinari che il datore di lavoro può irrogare, il licenziamento è valutato dalla legge come extrema ratio, ossia come l’ultima opzione di cui lui può avvalersi.
Infatti, per poter intimare un licenziamento per giusta causa la condotta posta in essere dal dipendente deve essere talmente grave da non consentire la prosecuzione, nemmeno provvisoria, del rapporto di lavoro.
Se sei stato licenziato e ritieni che il fatto da Te commesso non giustifichi un licenziamento, contattami.
Il caso
Un dipendente di un noto supermercato prelevava e consumava in loco alcune bottiglie di birra, del cous cous ed un prodotto da forno senza pagarli.
L’azienda, constatato il fatto, decideva di punire il dipendente con la sanzione più grave: il licenziamento. Il lavoratore, consapevole dell’errore commesso, riteneva però sproporzionata la decisione assunta dal proprio datore di lavoro ed instaurava dunque una causa civile contro di lui al fine di riottenere il suo posto di lavoro.
La questione finì davanti alla Corte di Cassazione, la quale ritenne che il comportamento del dipendente configurava un atteggiamento antigiuridico passibile di sanzione disciplinare, ma certamente non il licenziamento.
Orbene, analizziamo ciò che dice la legge.
L’articolo 2106 del Codice Civile prevede che:
“L’inosservanza delle disposizioni contenute nei due articoli precedenti (obbligo di fedeltà e diligenza) può dar luogo all’applicazione di sanzioni disciplinari, secondo la gravità dell’infrazione.”
Il datore di lavoro ha a disposizione diverse sanzioni disciplinari che può applicare al lavoratore irrispettoso delle condizioni previste dal contratto di lavoro: rimprovero verbale, ammonizione scritta, multa, sospensione, trasferimento e licenziamento.
La Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, nella recentissima sentenza n.35581 del 19/11/2021, ha precisato che:
“Spetta al giudice di merito valutare la congruità della sanzione espulsiva, non sulla base di una valutazione astratta dell’addebito, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto del fatto, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico della sua gravità, rispetto ad un’utile prosecuzione del rapporto di lavoro, assegnandosi rilievo alla configurazione delle mancanze operata dalla contrattazione collettiva, all’intensità dell’elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto dalle mansioni, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto, alla durata dello stesso, all’assenza di pregresse sanzioni, alla natura e alla tipologia del rapporto medesimo.”
E’ fondamentale quindi, al fine di non irrogare una sanzione illegittima, valutare la condotta del lavoratore e la sua “storia” in Azienda senza limitarsi al singolo episodio. Ad esempio, il Giudice terrà in considerazione se il lavoratore ha ricevuto altre sanzioni nel tempo o meno.
Nel caso appena esposto, la Cassazione, proprio valutando interamente il rapporto di lavoro intercorso fra le parti, ha ritenuto che il licenziamento fosse illegittimo perchè sproporzionato e quindi ha ordinato la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro!
Lascio qui in allegato alcuni dei nostri più recenti Articoli che potrebbero interessarTi:
- STIPENDIO DEL LAVORATORE: COSA SUCCEDE QUANDO IL DATORE DI LAVORO OPPONE UN SUO CREDITO
- DIPENDENTI PUBBLICI degli ENTI LOCALI: COME PASSARE DA FULL-TIME A PART-TIME
- FURTO IN AZIENDA
- IL RISARCIMENTO DEI DANNI PER RITARDATO PENSIONAMENTO
- CON IL DIVORZIO L’EX CONIUGE HA DIRITTO AD UNA QUOTA DI TFR, VEDIAMO QUANDO!