Il lavoratore deve necessariamente percepire un trattamento economico che rispetti le soglie minime contrattuali previste dal contratto collettivo di riferimento. Se il datore di lavoro, quindi, non può prevedere una paga inferiore rispetto al CCNL, lo stesso può, invece, riconoscere una retribuzione maggiore prevedendo il pagamento di ulteriori voci retributive che vadano a migliorare la sua posizione economica.

GLI ACCONTI SU FUTURI AUMENTI CONTRATTUALI
Gli AFAC sono elementi retributivi che possono essere previsti a favore del lavoratore in aggiunta rispetto al minimo tabellare. La funzione di questa voce è quella di adeguare la retribuzione dei lavoratori nel lasso di tempo necessario per la formulazione di un nuovo CCNL migliorativo delle condizioni vigenti, andando a colmare la perdita del potere d’acquisto del salario ricevuto nelle more della negoziazione dello stesso.
La ratio è proprio quella di evitare che il lavoratore subisca un pregiudizio dovuto al trascorrere del tempo, spesso molto lungo, necessario per addivenire ad un formale accordo per l’aggiornamento dei minimi retributivi.
In busta paga, quindi, il lavoratore troverà una voce aggiuntiva, chiamata “futuri aumenti”, in cui verrà inserita una cifra pari alla differenza fra la paga prevista contrattualmente e quella concordata in via “provvisoria”. Ad esempio, se la paga per contratto è 1.000,00 euro e quella concordata è pari ad 1.100,00 euro, i “futuri aumenti” sono di € 100,00.
La voce “Acconto futuri aumenti” assorbe in automatico gli aumenti di paga sindacale che avvengono all’inizio di ogni anno, senza che l’utente debba fare nulla. Non assorbe però gli scatti di anzianità in quanto vietato per legge e dal CCNL.
È possibile per il datore di lavoro chiedere indietro gli acconti già versati al lavoratore?
Circa la possibilità di chiedere il rimborso, da parte del datore di lavoro, degli acconti su futuri aumenti contrattuali già versati è intervenuta la Cassazione civ. Sez. lavoro con la sentenza n. 19276/2015.
Secondo la Corte, per il principio di irriducibilità della retribuzione di cui all’art. 2103 c.c., le somme erogate continuativamente a titolo retributivo, ivi compresi gli acconti sui futuri aumenti contrattuali, entrano a far parte del patrimonio dei dipendenti che le hanno percepite.
Sulla stessa questione si è espresso pure il Tribunale ordinario di Trieste, con la sentenza n. 83/2019. Il caso sottoposto al vaglio del Tribunale riguardava delle trattenute operate da una Azienda relative agli acconti versati in vista del futuro rinnovo contrattuale.
L’azienda sosteneva che gli acconti non fossero dovuti in quanto il rinnovo del CCNL era avvenuto quando il lavoratore in questione era già in pensione. Il Giudice, invece, ha condiviso la posizione del lavoratore sostenendo che gli acconti spettino al ricorrente sino alla data di cessazione del rapporto di lavoro, poiché anche nei suoi confronti sussiste fino alla data di conclusione del rapporto la funzione di colmare la perdita del potere d’acquisto del salario ricevuto nelle more della negoziazione del nuovo CCNL.
Vieppiù che lo stesso CCNL di riferimento faceva espressamente salvi, per il passato, gli anticipi sui futuri aumenti contrattuali, ribadendo l’obbligo della loro regolare erogazione.
Tutto ciò è finalizzato proprio ad evitare che il tempo necessario per la contrattazione vada a danno dei lavoratori, i quali in itinere si vedrebbero riconosciuta una retribuzione non adeguata.

IL SUPERMINIMO
Il superminimo è una voce retributiva aggiuntiva ed eventuale rispetto al minimo contrattuale e concorre alla formazione del reddito di lavoro dipendente. Inoltre è fiscalmente imponibile nonché utile per il calcolo dei contributi previdenziali ed assistenziali oltre che per la determinazione della retribuzione ai fini del TFR. Il superminimo incide anche sulla determinazione della retribuzione utile per il calcolo di altri istituti retributivi indiretti come il lavoro straordinario, le ferie, i permessi, la tredicesima e l’eventuale quattordicesima.
Il superminimo può essere:
- individuale: se inserito nel contratto individuale di lavoro;
- collettivo: se stabilito dalla contrattazione aziendale come politica aziendale volta a non creare differenze di trattamento tra tutti i dipendenti o tra i dipendenti inquadrati in un determinato livello, adibiti a specifiche mansioni o operati in una certa zona geografica.
Il superminimo individuale che viene riconosciuto in busta paga è un aumento di merito o ad personam, frutto di un accordo tra datore di lavoro e lavoratore. Anche se, è da rilevarsi che ad oggi, per lo più, il superminimo individuale è legato alla trattativa svolta in sede di assunzione per cui il datore di lavoro e lavoratore raggiungono l’accordo sul riconoscimento di un certo importo mensile complessivo e la parte eccedente il minimo tabellare viene indicata come superminimo. Ciò può anche avere la funzione di far ottenere all’azienda la forza lavoro di soggetti particolarmente valevoli che non si accontentano dei minimi contrattuali.
Il superminimo collettivo può essere riconosciuto a vario titolo, ma a livello retributivo ha la stessa funzionalità della paga base o del superminimo individuale. Sulla legittimità del riconoscimento del superminimo solo ad alcune categorie di lavoratori, la giurisprudenza si è espressa con parere favorevole.
La regola dell’assorbibilità
La regola generale prevede che il superminimo sia assorbito da futuri aumenti contrattuali previsti nei rinnovi dei contratti collettivi oppure dal passaggio di livello del lavoratore, a meno che l’azienda e il dipendente non si siano accordati precedentemente, stabilendo in modo chiaro e certo che il superminimo non sia assorbibile.
Ne consegue che un miglioramento della retribuzione complessiva in caso di superminimo assorbibile si possa avere solamente se il superminimo sia di importo inferiore rispetto all’aumento previsto dal contratto collettivo.
La Cassazione civ. Sez. lavoro con la sentenza n. 19276/2015 si è espressa anche sulla regola dell’assorbimento stabilendo che il “SUPERMINIMO entra a far parte del patrimonio del lavoratore solo ed esclusivamente quando sia stato pattuito espressamente tra le parti o quando sia ricollegabile alle peculiarità della prestazione del lavoratore che ne beneficia, […] e non solo per il fatto che attribuito una volta lo si sia attribuito per sempre, soggiacendo in tale ultima ipotesi alla regola dell’assorbimento.
Il superminimo non può essere assorbito dagli aumenti periodici di anzianità o dai compensi aggiuntivi fondati su un titolo proprio di erogazione, ad esempio nei casi in cui il superminimo sia concesso a fronte di particolari meriti del lavoratore o a causa della speciale qualità o della maggiore onerosità delle mansioni svolte. In questo caso sarà il lavoratore, che si vede sottratto il “superminimo” che avrà l’onere di dimostrare che al superminimo era stata attribuita la finalità di compensare queste particolari caratteristiche della prestazione attribuendo all’eccedenza della retribuzione individuale la natura di compenso speciale.
Riassumendo, secondo il parere n. 12 del 2019 della fondazione studi consulenti del lavoro, la regola generale dell’assorbibilità non trova applicazione nei seguenti casi:
- Se le parti del rapporto di lavoro hanno stabilito che il superminimo non sia assorbibile. Ciò può risultare dalla clausola del contratto individuale che preveda la natura non “assorbibile” del superminimo o da un comportamento concludente del datore di lavoro che – nonostante la mancanza di una espressa previsione – abbia in occasione dei precedenti rinnovi contrattuali collettivi sempre adottato la regola del cumulo e non dell’assorbimento;
- Se la stessa contrattazione collettiva stabilisce che l’aumento retributivo non assorbe i superminimi individuali goduti dai lavoratori;
- Se le parti del rapporto di lavoro hanno attribuito al superminimo la natura di compenso speciale strettamente collegato a particolari meriti o alla speciale qualità o maggiore onerosità delle mansioni svolte dal dipendente. In tal caso, il superminimo non è un generico miglioramento della posizione retributiva del lavoratore, ma ha una ragione specifica, e quindi diventa un elemento intangibile della retribuzione.
È possibile revocare o ridurre il superminimo?
Il superminimo non rientra tra le disposizioni inderogabili della legge o dei contratti collettivi, pertanto è nella piena disponibilità delle parti. Per eliminare o ridurre il superminimo è necessaria una decisione concordata per iscritto dal datore di lavoro e dal lavoratore.
Il datore non può, di sua iniziativa, togliere o diminuire il superminimo individuale e nemmeno la contrattazione collettiva può farlo. Il consenso del lavoratore ad un accordo di riduzione del superminimo può intervenire anche per comportamento concludente dello stesso lavoratore, che consiste nel fatto che egli continui a lavorare mostrando di adeguarsi alle nuove condizioni retributive. Tuttavia, il comportamento del lavoratore, per essere idoneo ad esprimere tacitamente la sua volontà, non deve essere motivato da un intento diverso da quello specifico di accettare le nuove condizioni peggiorative.
Cambia la disciplina per la riduzione del superminimo nel caso in cui questo sia collettivo, infatti non costituendo una clausola del contratto individuale ma essendo parte integrante della disciplina collettiva applicata al rapporto di lavoro le parti individuali non posso stabilire una riduzione o eliminazione del superminimo previsto nel contratto collettivo potendo questo essere ridotto o eliminato soltanto a seguito della successiva contrattazione collettiva applicata al rapporto di lavoro.