COS’È IL CAPORALATO?
Il caporalato è una forma illegale di reclutamento e organizzazione della mano d’opera, attraverso intermediari (caporali) che assumono, per conto dell’imprenditore e percependo una tangente, operai giornalieri, al di fuori dei normali canali di collocamento e senza rispettare le tariffe contrattuali sui minimi salariali, dove con questo termine si intende la paga minima che un lavoratore deve ricevere. Tale “retribuzione base” viene stabilita nei contratti collettivi nazionali e cambia per ciascuna categoria.
In sostanza, il “caporale” è colui che (operando generalmente come referente di organizzazioni criminali) al mattino, si reca nelle piazze dei paesi o nelle periferie delle città per reperire manodopera (di solito non specializzata), per condurla nei campi, in laboratori o in cantieri edili abusivi. Per tale servizio di intermediazione, il caporale pretende anche una percentuale che spesso raggiunge il 50-60% dalla paga giornaliera, solitamente inferiore a quella sindacale e frutto del lavoro in “nero”.
È CAPORALATO ANCHE IL FINTO PART-TIME
È considerato caporalato anche quando il datore di lavoro obbliga i suoi lavoratori a passare da un contratto full-time a uno part-time ma continuando a farli lavorare a tempo pieno con una paga ridotta alla metà, approfittando così del loro stato di bisogno.
Alcune testate giornalistiche nel tempo hanno denunciato lo sfruttamento che alcuni giovani subiscono soprattutto in alcuni settori, fra cui ristorazione e gastronomia d’asporto. Dalle dichiarazioni raccolte fra i ragazzi impiegati in questi settori, emerge che non possono godere di ferie e permessi e che lavorano anche quarantotto ore alla settimana senza per questo venire pagati per tutte le ore lavorate!
COSA PREVEDE LA LEGGE A TUTELA DEL LAVORATORE
L’art. 603 bis, 1° comma, del codice penale stabilisce che:
“Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da 500 a 1.000 euro per ciascun lavoratore reclutato, chiunque:
1) recluta manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori;
2) utilizza, assume o impiega manodopera, anche mediante l’attività di intermediazione di cui al numero 1), sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno.
Al fine di meglio determinare il reato in esame, il 2° co. afferma che costituisce “indice” di sfruttamento la sussistenza di una o più delle seguenti circostanze:
a) la reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale, o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato (i “caporali”, infatti, sono soliti pretendere un’elevata percentuale della paga giornaliera). Questa circostanza, inoltre, tiene conto di due parametri: il primo di carattere oggettivo – il C.C.N.L. – di facile valutazione; il secondo di più ardua individuazione poiché fa riferimento direttamente agli aspetti quantitativi e qualitativi della prestazione lavorativa;
b) la reiterata violazione della normativa relativa all’orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all’aspettativa obbligatoria, alle ferie);
c) la sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro;
d) la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative degradanti”.
Ai sensi del 2° co. della norma la pena è della reclusione da cinque a otto anni e della multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato se i fatti di cui al 1° co. sono commessi mediante violenza o minaccia.
L’ultimo comma dell’art 603 c.p. contempla tre aggravanti specifiche ad effetto speciale (con l’aumento da un terzo alla metà delle pene edittali):
a) nel caso in cui il numero dei lavoratori reclutati sia superiore a tre.
b) nel caso in cui anche uno solo di essi sia un minore in età non lavorativa. Per “minore in età non lavorativa” deve intendersi il soggetto che non abbia concluso il periodo di istruzione obbligatoria. Ai sensi dell’art. 59, 2° co., c.p., è necessario che il reo sia a conoscenza di tale condizione soggettiva della persona offesa oppure colpevolmente la ignori, o la ritenga inesistente per errore determinato da colpa. In ogni caso, appare riduttivo, tenuto conto della particolare natura dei fatti che integrano il reato in commento, limitare la portata dell’aggravante in parola ai soli minori in età non lavorativa e non già a tutti i minori.
c) nel caso in cui vi sia esposizione dei lavoratori a situazioni di grave pericolo, avuto riguardo alle caratteristiche delle prestazioni da svolgere e delle condizioni di lavoro.
Secondo la Suprema Corte Penale, in caso di condanna per il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, quando sussistano le condizioni previste dall’art. 3, L. 29.10.2016, n. 199, il Giudice può disporre il controllo giudiziario dell’azienda presso cui è stato commesso il reato (Vedi sentenza n. 6894 del 23.02.2021 (data ud. 27/01/2021)