Nell’ambito di un rapporto lavorativo, tra il datore di lavoro e il dipendente si instaura una fitta rete di doveri e diritti che entrambe le parti hanno reciprocamente. Quanto ai doveri del lavoratore subordinato vi è quello si svolgere una prestazione professionale tempestiva, perita, prudente. In particolare, l’art. 2104 cod. civ. impone al prestatore di lavoro di usare diligenza nell’espletamento dell’attività.
A tal proposito, la giurisprudenza è unanime nel ricondurre all’interno del concetto di “diligenza” sopra descritto sia il dovere del dipendente di eseguire la prestazione secondo la particolare qualità dell’attività dovuta, risultante dalle mansioni e dai profili che la definiscono e sia di osservare tutti quei comportamenti, anche di natura accessoria, che sono necessari per assicurare una gestione professionalmente corretta (Cass. 17.06.2011 n. 13425, Cass. Civ. 00/12769; Cass. Civ. 92/3845).
Detto obbligo di diligenza risulta altresì rafforzato da prescrizioni datoriali specifiche. Sul punto, la Corte d’Appello di Genova, con una sentenza del 20.11.2008 ha precisato che: “In presenza di una normativa statuale che regolamenti i comportamenti dei soggetti cui è diretta (nel caso di specie il Codice della Strada) ben può l’Azienda, con propri ordini di servizio (regolamentari), imporre obblighi ulteriori, richiedendo una attenzione ed una diligenza superiore a quella normalmente richiesta (nel caso quella di conducente di autoveicolo), diligenza superiore cui il lavoratore dipendente è tenuto ad attenersi in applicazione delle disposizioni contenute nell’art. 2014 c.c.”.
La violazione del citata normativa codicistica, oltre a comportare responsabilità di ordine disciplinare, da luogo ad una responsabilità patrimoniale del lavoratore da cui discende, in capo al datore di lavoro, il diritto al risarcimento dei danni (Cass. 12.01.2009 n. 394). La responsabilità derivante dalla violazione del dovere di diligenza ex art. 2104 cod. civ. ha natura contrattuale e pertanto sul più generale piano dell’art. 1218 cod. civ., l’onere di provare l’assenza di colpa nella causazione del danno spetta al debitore, ovvero nel caso specifico al dipendente (Cass. Civ. 18.05.2007 n. 11583). Sulla scorta di tale impostazione, avvalorata dalla giurisprudenza maggioritaria, quindi, il datore di lavoro non ha l’onere di provare che il danno al bene affidato per la prestazione sia stato causato dal lavoratore per mancanza di diligenza, realizzatasi ad esempio nell’inosservanza di leggi, regolamenti, norme di prudenza.
Queste circostanze, infatti, sono molto spesso al di fuori della sfera di conoscibilità datorile. Pertanto è opinione unanime che, in tale ipotesi, provati dal datore il danno e il rapporto di causalità tra il pregiudizio e la materiale condotta del lavoratore, spetterà a quest’ultimo dimostrare, a contrario, l’assenza di colpa nell’inadempimento (Cass. Civ. 18.05.2007 n.11583).
Si noti, peraltro, che i giudici di legittimità sono concordi nel ritenere non sufficiente ai fini liberatori che il lavoratore provi genericamente la propria diligenza, essendo al contrario necessario che dimostri concretamente la mancanza di colpa allegando la prova o dello specifico impedimento che ha reso impossibile la prestazione o che la causa del sinistro non sia imputabile allo stesso (Cass. Civ. 04/3294).
Ai fini dell’accertamento della responsabilità patrimoniale, quindi basterà che ricorra una colpa lieve (Cass. 21.08.2004, n. 16530). Conseguentemente, il lavoratore potrà essere esentato dal dovere il risarcimento, soltanto qualora dimostrerà che il fatto sia ascrivibile a caso fortuito o forza maggiore (Cass. 22.05.2000 n. 6664; Cass. 25.05.2008 n. 13530). In mancanza di tale prova, ai sensi del disposto di cui all’art. 1218 c.c., verrà presunta la sua responsabilità.