Di norma, in seguito alla separazione dei coniugi, i figli hanno diritto al mantenimento, che sia tale da permettere loro istruzione, educazione e sostentamento dignitosi. I genitori devono adempiere i loro obblighi nei confronti dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo, secondo quanto previsto dall’art. ex 316 bis.
Il contributo economico dovuto ai figli deve essere inoltre tale da garantire lo stesso tenore di vita di cui la prole godeva in costanza di matrimonio. I genitori dunque devono farsi carico anche di tutte quelle necessità che riguardano la vita sociale e lo svago dei figli.
Talvolta però accade che uno dei genitori, o nel peggiore dei casi entrambi, non possieda un’occupazione.
Cosa accade se uno dei genitori è disoccupato?
Il genitore disoccupato, per la giurisprudenza italiana, non può sottrarsi dall’obbligo del mantenimento!
Lo ribadisce anche la sentenza n. 39411/2017, la quale afferma che
“Si deve richiamare la manifesta infondatezza delle eccezioni attinenti allo stato di disoccupazione, che non scrimina dall’obbligo di contribuzione, a meno che non si provi l’assoluta impossibilità di fare fronte alle obbligazioni attraverso la dimostrazione di una fruttuosa attivazione in tal senso, e l’irrilevanza della verifica di uno stato di indigenza della minore, atteso che lo stato di bisogno è insito in tale condizione, per pacifica giurisprudenza.”
Il reddito da lavoro per la giurisdizione non è l’unico mezzo con cui è possibile corrispondere il mantenimento della prole.
Secondo la sentenza sopraccitata il genitore che deve farsi carico del mantenimento dei figli può, in alternativa, provare di:
- aver fatto il possibile per trovare un’occupazione;
- non possedere altri redditi;
- non poter in alcun modo recuperare il denaro necessario.
Si può quindi dedurre che il reddito derivante dall’impiego del genitore costituisce uno dei tanti tipi di reddito che vengono considerati dal giudice. L’eventuale mancanza di uno stipendio non costituisce motivo di deroga dagli obblighi di filiazione.
Cosa accade se il coniuge abbandona la famiglia?
Nel caso in cui uno dei due coniugi abbandoni la famiglia e quindi il domicilio, sottraendosi agli obblighi nei confronti dei figli e del coniuge, la normativa prevede quanto segue:
Art. 570 C.P.
«Chiunque, abbandonando il domicilio domestico, o comunque serbando una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità genitoriale , alla tutela legale o alla qualità di coniuge, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da centotre euro a milletrentadue euro. Le dette pene si applicano congiuntamente a chi:
1) malversa o dilapida i beni del figlio minore o del coniuge;
2) fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa.»
Il mantenimento cessa con il compimento della maggiore età?
No, l’obbligo nei confronti del genitore di versare l’assegno di mantenimento non cessa in modo automatico quando il figlio diventa maggiorenne. Questo accade solo nel momento in cui la prole ottiene l’indipendenza economica, elemento che deve essere comunque verificato ed accertato caso per caso.
Infatti non è semplice definire la stabilità economica. Ad esempio è sufficiente svolgere un lavoro con un contratto part-time, mentre sono da escludere situazioni come laurea, dottorato di ricerca e contratto di tirocinio, in quanto non sufficienti a determinare un’indipendenza economica in favore del figlio maggiorenne.
La Corte di Cassazione inoltre si orienta a imporre il limite di trentacinque anni, oltre il quale il figlio senza una stabilità economica perde il diritto al mantenimento in quanto considerato come caso di inerzia o abbandono volontario dal lavoro.
In definitiva, secondo la sentenza n. 18974 dell’ 8 agosto 2013, “il figlio maggiorenne diventa economicamente autosufficiente quando comincia a percepire un reddito che corrisponda alla professionalità che abbia acquisito rispetto alle normali condizioni di mercato”.