Come vengono ripartiti gli oneri probatori nei giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento?
La Suprema Corte di Cassazione è tornata a statuire sul significato di onere probatorio di cuiall’art 23 Tuf, secondo cui: “Nei giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nellosvolgimento dei servizi di investimento e di quelli accessori, spetta ai soggetti abilitati l’onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta ”.
Alla Corte di Legittimità è dunque ricorsa la Banca affinché venisse riformata la sentenza resa dalla Corte d’Appello di Roma, nella parte in cui (tra l’altro) veniva dato atto della genericità delle allegazioni mosse dall’investitore, in merito al preteso inadempimento informativo dell’intermediario finanziario (in relazione, nello specifico, alla segnalazione di non adeguatezza dell’investimento).
La Corte ha stabilito che, “ferma la distribuzione dell’onere probatorio di cui all’art. 23 t.u.f., compete pur sempre al creditore (all’investitore, nella specie) che agisca per il risarcimento del danno allegare l’inadempimento (secondo il fondamentale insegnamento di Cass. Sez. U. 30 ottobre 2001, n. 13533) e, quindi, per quanto qui interessa, dedurre l’inosservanza dei singoli obblighi di condotta che fanno capo all’intermediario: infatti, l’onere probatorio gravante sull’intermediario finanziario, in ordine alle informazioni fornite all’investitore, è commisurato alla deduzione di inadempimento formulata da quest’ultimo in sede di contestazione della lite e di successiva precisazione o modificazione del thema decidendum e probandum (Cass. 21 marzo 2016, n. 5514, non massimata): pertanto l’investitore è comunque tenuto ad allegare quali specifiche obbligazioni siano rimaste inadempiute, anche perché resta a suo carico l’onere di provare il nesso di causalità tra il danno e l’inadempimento di dette specifiche obbligazioni (Cass. 30 gennaio 2013, n. 2185, non massimata, ove il richiamo a Cass. 17 febbraio 2009, n. 3773).
A fronte di una deduzione assolutamente generica, quale quella rilevata dalla Corte di merito, l’onere probatorio non ha dunque ragione di operare, risultando assorbente il dato del mancato assolvimento, da parte del cliente, al proprio onere di allegazione”.
Conseguentemente l’investitore non solo dovrà provare gli inadempimenti della Banca in modo specifico e puntuale ma dovrà altresì dimostrare il danno subito ed il nesso causale.
Cass., Sez. I, 15 settembre 2017, ordinanza n. 21462
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DOGLIOTTI Massimo – Presidente –
Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 17464/2013 proposto da:
M.L., (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in Roma, Via Antonio Bertoloni n. 44, presso l’avvocato Greco Ada, che lo rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
Intesa Sanpaolo S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via T. Salvini n. 2/a, presso l’avvocato Pedretti Luigi, che la rappresenta e difende, giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3160/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 29/05/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/04/2017 dal cons. FALABELLA MASSIMO.
Svolgimento del processo
1. – M.L. ha proposto nei confronti di Banca Popolare dell’Adriatico s.p.a., poi Intesa Sanpapolo s.p.a., domande dirette al risarcimento del danno asseritamente sofferto in conseguenza dell’acquisto di obbligazioni argentine 10% effettuato in data 8 gennaio 2001 e 6 febbraio 2001 per il controvalore di Euro 51.546,00 e di Euro 72.015,51, con scadenza gennaio 2005 efebbraio 2007.
Il Tribunale di Roma ha accolto la domanda con una sentenza integralmente riformata dalla Corte di appello di Roma il 29 maggio 2013.
2. – Il giudice del gravame ha osservato che l’investitore aveva dichiarato per iscritto di non voler fornire alla banca le informazioni richieste sulla sua situazione finanziaria e che lo stesso aveva nondimeno sottoscritto la scheda concernente gli obiettivi di investimento, l’esperienza e la
propensione al rischio in termini di “redditività e rivalutabilità con il rischio dell’andamento dei corsi”, dichiarando altresì di essere in possesso di una “buona esperienza finanziaria in materia
di investimenti in strumenti finanziari”: dichiarazioni – queste che la Corte distrettuale ha ritenuto genuine in quanto documentate dagli investimenti operati nel medesimo periodo in titoli esteri ad alto rendimento. Ne ha desunto che l’investimento in obbligazioni argentine si inquadrasse
alla perfezione nella linea che l’odierno ricorrente, a proprio rischio e pericolo, intendeva consapevolmente perseguire. La Corte di Roma ha inoltre evidenziato che nessun serio dubbio poteva nutrirsi in ordine all’adeguatezza dell’investimento, tenuto conto del quadro complessivo delle operazioni finanziarie a lui riconducibili, e che, in ogni caso, l’appellante non poteva dolersi dell’inosservanza delle prescrizioni che facevano obbligo alla banca di informare il cliente dell’inadeguatezza dell’investimento, posto che l’onere di allegazione quanto ai profili di inadeguatezza incombe sull’investitore e questi, in primo grado, aveva formulato doglianze deltutto generiche in ordine alla violazione degli obblighi informativi.
3. – M. ha impugnato la decisione resa in fase di gravame con un ricorso per cassazione basato su cinque motivi. Resiste con controricorso Intesa Sanpaolo. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
1. – Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 21 e 23 t.u.f. ( D.Lgs. n. 58 del 1998 ) e degli artt. 26, 28 e 29 reg. Consob n. 11522/1998 disciplinanti i doveri di informazione dell’intermediario, nonchè degli artt. 1176, 1176, 1374, 1375, 1337 e 1338 c.c..
Rileva l’istante che sull’istituto bancario gravava l’obbligo di informarsi e, quindi, di informare il cliente degli strumenti finanziari negoziati; l’intermediario era cioè tenuto ad acquisire informazioni circa la provenienza dei prodotti finanziari, la loro destinazione al pubblico e la situazione dei mercati, sicchè esso ricorrente aveva il diritto di essere notiziato dalla banca, prima del compimento dell’investimento, della rischiosità specifica dell’operazione finanziaria, tanto più che nel corso del 2001 le principali agenzie di rating avevano rivisto ripetutamente in senso negativo il loro giudizio circa l’affidabilità, sul piano finanziario, dello Stato argentino. D’altro canto, il rifiuto, da parte del cliente, di fornire le informazioni richieste, non era di per sé sufficiente ad escludere la responsabilità dell’intermediario. In conclusione, dunque, il motivo addebita alla sentenza impugnata di non aver correttamente applicato le disposizioni legislative e regolamentari che impongono all’intermediario stesso di assolvere all’obbligo informativo di cui si è detto.
1.1. – Col secondo motivo è lamentata violazione e falsa applicazione dell’art. 29 reg. Consob n. 11522/1998, con riferimento agli artt. 21 e 23 t.u.f., dell’art. 1176 c.c. , comma 2, e degli artt. 26 e 28 del cit. reg., con riguardo ai doveri di informazione dell’intermediario. Richiamando il comma 3 del cit. art. 29, il ricorrente osserva come solo ove l’investitore che abbia effettuato l’ordine riceva informazioni chiare e precise sulle ragioni per cui non è opportuno procedere alla sua esecuzione e, ciononostante, intenda comunque dar corso all’operazione, l’intermediario possa porre in atto quest’ultima, sempre che l’ordine stesso sia impartito per iscritto: prescrizione, quest’ultima, che peraltro non era stata rispettata. Dopo di che il ricorrente torna a rimarcare il rilievo che assume l’obbligo informativo incombente sull’intermediario. Osserva, al riguardo, che a norma dell’art. 23 t.u.f. l’investitore ha solo l’onere di allegare l’inadempimento del predetto intermediario, provando, poi, che il pregiudizio lamentato consegua a siffatto inadempimento, mentre all’operatore bancario o finanziario compete di provare di aver rispettato le prescrizioni di legge con la specifica diligenza richiesta. Aggiunge che esso istante avrebbe avuto il diritto ad essere pienamente informato dalla banca non solo prima del compimento dell’operazione, ma anche nel periodo successivo, venendo in questione un rapporto di durata.
1.2. – Il terzo mezzo è rubricato come omessa valutazione del mancato assolvimento, da parte della banca, del proprio onere probatorio di cui all’art. 23 t.u.f., con riferimento agli obblighi informativi di cui agli artt. 21 t.u.f. e agli artt. 26, 28 e 29 reg. Consob n. 11522/1998. Viene lamentato che la Corte capitolina avesse omesso di valutare correttamente il suddetto inadempimento: spiega il ricorrente – in proposito – che la banca non aveva provato di avergli fornito le suddette informazioni.
1.3. – I tre motivi possono esaminarsi congiuntamente, per ragioni di connessione, e sono infondati.
Non è anzitutto conferente il richiamo alla disciplina dell’art. 29, comma 3, reg. Consob n. 11522/1998. Tale norma riguarda, infatti, il caso della ricezione, da parte degli intermediari autorizzati, di disposizioni relative ad una operazione non adeguata. Nella specie, di contro, la Corte di appello, sulla base di un giudizio di fatto non censurabile in questa sede, ha ritenuto che l’investimento in obbligazioni argentine fosse adeguato (pag. 5 della sentenza impugnata).
Per quel che concerne l’adempimento degli obblighi informativi, il ricorrente si limita invece a lamentare che la banca non vi abbia provveduto, senza tuttavia censurare l’affermazione, contenuta nella pronuncia gravata, secondo cui in primo grado lo stesso Maggiulli aveva
formulato, al riguardo, una doglianza del tutto generica. Va osservato, in proposito, che, ferma la distribuzione dell’onere probatorio di cui all’art. 23 t.u.f., compete pur sempre al creditore (all’investitore, nella specie) che agisca per il risarcimento del danno allegare l’inadempimento (secondo il fondamentale insegnamento di Cass. Sez. U. 30 ottobre 2001, n. 13533) e, quindi, per quanto qui interessa, dedurre l’inosservanza dei singoli obblighi di condotta che fanno capo all’intermediario: infatti, l’onere probatorio gravante sull’intermediario finanziario, in ordine alle informazioni fornite all’investitore, è commisurato alla deduzione di inadempimento formulata da quest’ultimo in sede di contestazione della lite e di successiva precisazione o modificazione del thema decidendum e probandum (Cass. 21 marzo 2016, n. 5514, non massimata): pertanto l’investitore è comunque tenuto ad allegare quali specifiche obbligazioni siano rimaste inadempiute, anche perché resta a suo carico l’onere di provare il nesso di causalità tra il danno e l’inadempimento di dette specifiche obbligazioni (Cass. 30 gennaio 2013, n. 2185, non massimata, ove il richiamo a Cass. 17 febbraio 2009, n. 3773). A fronte di una deduzione assolutamente generica, quale quella rilevata dalla Corte di merito, l’onere probatorio non ha dunque ragione di operare, risultando assorbente il dato del mancato assolvimento, da parte del cliente, al proprio onere di allegazione.
E’ da escludere, in conseguenza, che la sentenza impugnata possa essere censurata a norma dell’art. 360 c.p.c. , n. 5 per l’omesso esame dell’inadempimento di Intesa Sanpaolo: inadempimento che la Corte di appello ha mancato di prendere in considerazione proprio in ragione della genericità della suddetta allegazione.
Inammissibile è, poi, la doglianza afferente il mancato adempimento dell’obbligo informativo nel periodo successivo alla formulazione degli ordini di acquisto. Di tale profilo, infatti, la sentenza impugnata non parla, nè il ricorrente spiega se e in che modo la questione sia stata trattata nella precorsa fase di merito. Si ricorda, in proposito, che ove con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675; cfr. pure: Cass. 28 luglio 2008, n. 20518; Cass. 26 febbraio 2007, n. 4391; Cass. 12 luglio 2006, n. 14599; Cass. 2 febbraio 2006, n. 2270). 2. – Il quarto motivo, che è fatto rientrare nella previsione di cui all’art. 360 c.p.c. , n. 5, reca una censura di omessa valutazione, da parte del giudice distrettuale, della sottoscrizione del contratto da parte dell’investitore in qualità di consumatore. Assume il ricorrente che tale circostanza, decisiva e oggetto di discussione tra le parti, non era stata presa in considerazione dalla Corte di merito.
2.1. – Il motivo è inammissibile, per le medesime ragioni spiegate da ultimo. Oltretutto il ricorrente neanche spiega quali sarebbero le conseguenze derivanti dall’omesso esame della qualità di consumatore con cui assume di aver concluso il contratto; l’istante manca cioè di chiarire per quale ragione la circostanza indicata sia da considerare decisiva: il motivo risulta, così, pure carente della necessaria specificità.
3. – Con il quinto motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1710 c.c. , comma 2, e art. 1711 c.c. , comma 2. Rileva il ricorrente che al contratto quadro per la negoziazione, la ricezione e la trasmissione di ordini su strumenti finanziari sarebbero applicabili, in via di interpretazione analogica, le norme sul mandato. In considerazione di tali norme la banca mandataria sarebbe stata quindi tenuta a rendere note al mandante le circostanze sopravvenute costituite, nello specifico, dal costante deterioramento del rating relativo ai titoli argentini, onde consentire all’investitore la dismissione dei titoli in portafoglio.
3.1. – La censura torna ad occuparsi, da una particolare angolazione, che è quella in cui si inscrive la disciplina del mandato, della questione sollevata col secondo motivo: questione vertente sul mancato attivarsi della banca nell’informare il cliente nel periodo successivo all’investimento. Si è detto, però, che un tema siffatto non risulta trattato nella fase di merito: non è quindi la nuova e diversa prospettazione di esso a renderne possibile l’ingresso nel giudizio di legittimità.
4. – Il ricorso è rigettato.
5. – Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
LA CORTE rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 , dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 27 aprile 2017.
Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2017