Cos’è il diritto alla bigenitorialità?
Il diritto di bigenitorialità è un principio legale in base al quale si ritiene che un bambino debba mantenere un rapporto stabile con entrambi i genitori, anche nel caso questi siano separati o divorziati.
Art. 337 ter c.c., 1 comma:
Il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.
Vi sono casi dove il diritto di bigenitorialità viene modificato: quando uno dei due genitori non è in grado di accudire e badare al figlio oppure se è proprio il minore a non voler stare con un dei due genitori. In quest’ultimo caso il giudice dovrà avviare una procedura per capire il perché di questo rifiuto da parte del figlio.
L’affidamento esclusivo consiste nell’affidare un figlio minore ad uno solo dei due genitori in caso di separazione o divorzio.
Quando viene disposto l’affido esclusivo
Secondo la giurisprudenza, l’affido esclusivo viene deciso quando:
- Frequentare entrambi i genitori può essere pericoloso per il bambino.
- Uno dei genitori non viene ritenuto adatto oppure in grado di prendersi cura del figlio
- Il figlio non vuole avere rapporti con uno dei due genitori per il comportamento avuto dal padre o dalla madre nei suoi confronti.
- Quando si sono verificate delle situazioni di violenza nei confronti del bambino da parte del padre o della madre.
- Quando si sono verificate delle situazioni di violenza nei confronti della madre davanti al bambino che hanno provocato un trauma al minore.
- Quando uno dei genitori non vuole sapere nulla del figlio e non si presenta neanche alle udienze della causa di separazione.
Ad esempio un Tribunale italiano ha deciso per l’affidamento esclusivo di una figlia di 9 anni al padre perché la madre manifestava carenza e inidoneità educativa legata all’incapacità di controllo nell’impulsività dell’agire, seppur si era in assenza di elementi psicopatologici in capo alla madre.
Dunque, i casi di affidamento esclusivo possono presentare situazione fra le più variegate, ma tutte hanno come fattore comune l’interesse del minore.
Il diritto del singolo genitore a realizzare e consolidare relazioni e rapporti continuativi e significativi con il figlio minore presuppone il suo perseguimento nel miglior interesse di quest’ultimo, e assume carattere recessivo se ciò non sia garantito nella fattispecie concreta.
Cosa s’intende per interesse del minore?
L’art. 3 della Convenzione sui diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza:
sancisce il principio del superiore interesse del minore, ovvero che in ogni legge, provvedimento e in situazione problematica, l’interesse del minore deve avere una considerazione preminente.
Quindi chi deve assumere una decisione è chiamato ad ascoltare e a prendere in considerazione l’opinione dei minori rispetto ai temi che li riguardano.
Il superiore interesse del minore è declinato in tre distinte accezioni tra loro intrinsecamente collegate:
a) esso esprime un diritto sostanziale, cioè il diritto del minorenne a che il proprio superiore interesse sia valutato e considerato preminente quando si prendono in considerazione interessi diversi, al fine di raggiungere una decisione sulla problematica in questione.
b) il miglior interesse del minore configura un principio giuridico interpretativo fondamentale: se una disposizione di legge è aperta a più di un’interpretazione, si dovrebbe scegliere l’interpretazione che corrisponde nel modo più efficace al superiore interesse del minore.
c) Ciò implica anche una regola procedurale; ogni qualvolta sia necessario adottare una decisione che interesserà un minorenne, il processo decisionale dovrà includere una valutazione del possibile impatto (positivo o negativo) della decisione sul minorenne o sui minorenni in questione.