La norma da cui partire per comprendere come lo Stato possa imporre alcuni tipi di vaccinazioni è l’art. 32 della Carta costituzionale, il quale sancisce che “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”
Tuttavia, prosegue l’art. 32, “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
Quindi, è possibile prevedere una vaccinazione come obbligatoria ma soltanto con lo strumento della legge.
Spetta dunque al Parlamento, come rappresentante del Popolo italiano, bilanciare le libertà individuali (come scegliere se sottoporsi o meno ad un determinato trattamento sanitario) con il principio di solidarietà invocabile per garantire a tutta la collettività il Supremo diritto alla salute e alla vita.
I succitati principi di rango costituzionale trovano ulteriore conferma e specificazione nell’articolo 33 della legge n. 833 del 1978, istitutiva del Servizio sanitario nazionale, che stabilisce che gli accertamenti ed i trattamenti sanitari sono di norma volontari; qualora previsti, i trattamenti sanitari obbligatori devono comunque rispettare la dignità della persona, i diritti civici e politici, compreso, per quanto possibile, il diritto alla libera scelta del medico e del luogo di cura.
Recentemente, il Consiglio d’Europa, con il nuovo documento «Vaccini Covid-19: questioni etiche, legali e pratiche» ha stabilito che nessun Stato europeo potrà imporre come obbligo l’inoculazione del vaccino contro il coronavirus. Vieppiù, il Consiglio di Stato ha poi precisato che ciascun Stato deve “assicurarsi che i cittadini siano informati che la vaccinazione NON è obbligatoria e che nessuno sia sottoposto a pressioni politiche, sociali o di altro tipo per farsi vaccinare, se non lo desidera personalmente” con l’aggiunta che “nessuno sia discriminato per non essere stato vaccinato, a causa di possibili rischi per la salute o per non voler essere vaccinato”. Da ultimo è stata prevista la “necessità di una informazione trasparente sulla sicurezza e sui possibili effetti collaterali dei vaccini, collaborando con le piattaforme di social media e regolamentandole per prevenire la diffusione della disinformazione“
Ma ci sono alcune questioni che vanno affrontate subito e riguardano l’ambiente di lavoro, come vedremo di seguito.
VACCINO ANTI-COVID E CONTAGI IN AZIENDA
La domanda che i datori di lavoro da una parte ed i lavoratori dall’altra, si stanno facendo in questo periodo, è se il primo possa imporre ai suoi dipendenti di vaccinarsi contro il Covid- 19.
La questione è molto complessa e richiede l’esame ed il confronto di più norme.
Infatti, l’articolo 2087 del codice civile, da una parte, potrebbe consentire al datore di lavoro di imporre il vaccino in quanto la disposizione normativa obbliga il datore di lavoro ad adottare tutte le misure suggerite da scienza ed esperienza, necessarie per garantire la sicurezza fisica e psichica delle persone che lavorano in azienda.
Le norme sulla sicurezza sul lavoro poi, in tema di vaccini, prevedono parimenti degli obblighi ai fini della tutela alla salute per i datori di lavoro e delle conseguenze per i dipendenti che si rifiutano di accettare le imposizioni datoriali.
L’art. 279 del Testo Unico della Sicurezza sul Lavoro, infatti, impone al datore di lavoro di mettere a disposizione “vaccini efficaci per quei lavoratori che non sono già immuni all’agente biologico [il Covid-19], da somministrare a cura del medico competente”.
Pertanto, dal momento in cui è a disposizione il vaccino, il datore di lavoro è tenuto per l’appunto a metterlo a disposizione dei dipendenti privati e pubblici. Il che non significa renderlo obbligatorio perché, per quanto visto sopra, soltanto la Legge ha questa efficacia.
Tuttavia “la stessa norma impone al datore di lavoro l’allontanamento temporaneo del lavoratore in caso di inidoneità alla mansione su indicazione del medico competente”.
E se l’organizzazione aziendale non consentisse a quel punto una sua ricollocazione?
Premesso l’obbligo del datore di lavoro di predisporre misure organizzative per tutelare il lavoro, se questo non fosse possibile, potrebbe decidere per la rescissione del rapporto di lavoro.
La questione come si può vedere è molto complessa, ed esige necessariamente un bilanciamento fra diversi interessi tutti garantiti dalla Costituzione: il diritto alla salute individuale, la limitazione dei trattamenti sanitari obbligatori a quelli definiti tali da apposita norma di legge, la tutela della salute pubblica (art. 32), la libertà d’impresa (art. 41).
La sentenza n. 258/1994 della Corte Costituzionale, stabilisce un orientamento volto a contemperare il diritto alla salute del singolo con il diritto alla salute della collettività. “Un provvedimento normativo, volto a imporre uno specifico trattamento sanitario, può essere prescritto unicamente laddove lo stesso trattamento sia diretto non solo a migliorare o preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri, giacché è proprio tale ulteriore scopo, attinente alla salute come interesse della collettività, a giustificare la compressione di quella autodeterminazione dell’uomo che inerisce al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale”.
Quindi, serve per prima una legge improntata a tali principi. In secondo luogo, la concreta possibilità di licenziare il dipendente che rifiuta il vaccino è relativa, come abbiamo visto, alle condizioni di lavoro.
In certi ambienti ad alto rischio di contagio, quindi, potrebbero non essere sufficienti l’utilizzo dei tradizionali Dpi per garantire la salute individuale e pubblica, conseguentemente il trattamento vaccinale potrebbe rivelarsi il presidio maggiormente idoneo ad escludere il rischio di contagio. Per tutti questi motivi, i lavoratori che rifiutano il vaccino potrebbero essere esposti a sanzioni disciplinari.
Per concludere…
Sulla questione dell’obbligo al vaccino antiCovid 19 il Presidente della Corte Costituzionale, Giancarlo Coraggio si è espresso ricordando che: “La possibilità di trattamenti sanitari obbligatori è prevista dalla Costituzione, ma richiede una legge”. E per giungere ad una legge ovvero ad un decreto legge che imponga l’ obbligo vaccinale, è necessario che il Parlamento Italiano accerti la sua indispensabilità, per la tutela della salute e della vita dei cittadini.
Sino a quel momento, poiché ad oggi una legge non c’è, si deve concludere che l’obbligo è soltanto “morale”, e quindi un licenziamento per giusta causa del dipendente che rifiuta il vaccino andrebbe incontro a qualche problema di legittimità.