Manca la firma della Banca, il contratto è nullo! E così la Banca Popolare di Vicenza ritorna sotto i riflettori per una recente decisione del Tribunale di Udine che dopo 7 anni ha dato ragione al Sig. Joe Bastianich, l’imprenditore italo-americano diventato una star dopo la partecipazione come giudice a Masterchef .
Il noto personaggio televisivo ha infatti chiamato in causa la Banca, rea di avergli fatto sottoscrivere un contratto derivato che avrebbe dovuto tutelarlo dal rischio di un rialzo dei tassi di interesse.
Pare infatti che il Sig. Bastianich si fosse rivolto all’Istituto di Credito Veneto per la stipula di due Mutui ipotecari per complessivi cinque milioni di euro, chiesti dall’imprenditore per l’acquisto di un’azienda agricola in Friuli, e che la Banca in questa circostanza gli abbia proposto l’ombrello degli swap contro il presunto imminente rialzo dei tassi d’interesse.
Le cronache e, a seguire, anche il perito nominato dal giudice, hanno dimostrato che ciò che accadde fu esattamente il contrario.
Invece di soffiargli contro, “dal 2006-2007 a oggi, i mercati hanno visto prevalere un movimento dei tassi al ribasso e questo – scrive il perito contrariamente alle previsioni prospettategli, ha comportato flussi quasi costantemente negativi per Bastianich”. Detta in parole povere, l’Imprenditore aveva notato nel tempo un drastico calo del Suo conto a causa di una operazione, il contratto derivato appunto, tutt’altro che conveniente.
Per questo promuoveva un contenzioso giudiziario al fine di far dichiarare la nullità dello swap che in soli tre anni aveva finito per consumare ben 267 mila euro.
Con la Sentenza del Tribunale di Udine la Banca è stata condannata a restituire a Bastianich l’intera somma, nel frattempo lievitata fino a quasi 300 mila euro, dispensandolo nel contempo dal pagare l’ulteriore importo di 1,4 milioni di flussi di cassa negativi maturati sino alla fine del contenzioso. Per un salvataggio totale pari a circa 1,7 milioni di euro.
Cosa ha determinato il successo della causa?
L’assenza della firma da parte della banca in calce al cosiddetto “contratto quadro”.
Un errore apparentemente banale, ma sufficiente a invalidare il documento e, a cascata, anche tutte le successive operazioni finanziarie.
Un vizio di forma, insomma, che ha decretato l’invalidità dell’intera operazione. Ed è proprio su tale vizio che nel corso della nostra esperienza abbiamo fondato anche le ragioni dei Nostri Clienti che spesso ci mostrano CONTRATTI QUADRO mancanti della firma proprio della Banca.
La giurisprudenza sull’assenza della firma si è espressa molto chiaramente stabilendo che: “la forma scritta per il contratto di investimento prevista dall’art. 23 TUF è rispettata solo qualora il documento contenga la sottoscrizione della cliente e della banca (…) La manifestazione per iscritto della volontà di uno dei contraente non può essere sostituita dalla dichiarazione unilaterale ricognitiva dell’avvenuta stipulazione per iscritto del contratto, né dal comportamento processuale delle parti o da altri mezzi probatori ivi compresa la dichiarazione confessoria” (Trib. Mondovì sent. N. 390 del 09.11.2012; Corte d’Appello di Torino sent. N. 20.01.2012; Trib. Siena sent. N. 261 del 19.07.2012; Trib. Bologna sent. 27.03.2012).
La sottoscrizione del contratto ad opera di entrambe le parti è necessaria
E’ stata sancita anche dalla Suprema Corte di Cassazione, che, nella sentenza 14.11.2012 n. 19934, ha affermato il seguente principio in riferimento ad un contratto pubblico, ma applicabile anche ai contratti bancari: “Qualsiasi contratto degli enti locali, anche se a trattativa privata, deve essere consacrato, a pena di nullità, in un unico documento, recante la sottoscrizione della parte privata e dell’organo investito del potere di rappresentare l’ente interessato nei confronti del terzo”. contraenti ai sensi dell’art. 1418 Cod. Civ., che ravvisa, tra le ipotesi di invalidità assoluta del contratto, la mancanza di uno dei requisiti sanciti dall’art. 1325 Cod. Civ. (tra cui appunto laforma), sia ai sensi dell’art. 23 TUF.